Il gatto è un romanzo irriverente che scuote le nostre rassicuranti pretese
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IL GATTO – Compagnia Umberto Orsini

Il gatto è un romanzo irriverente che scuote le nostre rassicuranti pretese morali, tradendo ogni retorica perbenista, e che ci conduce a perlustrare le ingarbugliate e contorte strettoie del nostro mondo interiore con sfacciata onestà.

Émile e Marguerite sono prigionieri in un matrimonio che ha ceduto il passo a un bieco e beffardo conflitto permanente. Forse i due si sono amati un tempo, o forse hanno allestito la scena posticcia della loro unione per non restare soli a recitare sul palcoscenico spoglio e desolante della senilità. Forse le origini della loro guerra domestica sono da ricercare ben prima della morte del gatto. Troppo diversi tra loro, Émile e Marguerite non si sono mai veramente sopportati. Lei, di origine piccolo borghese e dai modi fin troppo affettati; lui, ruvido capomastro in pensione, amante dei sigari e del vino rosso. Marguerite non si è mai liberata del ricordo del suo primo marito violinista ed Émile rimpiange la sua prima moglie morta troppo presto.

“Il gatto di Simenon – spiega Roberto Valerio nei suoi appunti di regia – ci consegna personaggi che possiedono una caleidoscopica complessità e una vibrante vocazione teatrale; è un testo feroce che rovista tra le pieghe della mente e le incrinature del cuore dei protagonisti, descritti con uno sguardo crudo e spietato.

La morte dell’amato gatto di lui per avvelenamento è la miccia che accende l’odio e fa crollare l’esile impalcatura della loro relazione e della loro intera esistenza. L’uomo, convinto, non a sproposito, che il crimine sia stato compiuto dalla moglie, si scaglia furioso sul pappagallo di lei, trucidandolo. L’orribile fine dei due animali, testimoni di una vita anteriore, ricordo consolatorio di un altrove, nonché specchio vitale e conservativo dell’essenza antitetica dei loro padroni, manda in frantumi il legame fondamentale e identitario con il passato, unico sostegno rimasto a sorreggere queste due anime inquiete in quel vuoto di senso che è ormai la loro vita.

Si ritrovano così a inaugurare la livida e irrevocabile stagione del silenzio. Non si parleranno più, se non tramite caustici bigliettini in cui esprimono, con corrosivo livore, un’autentica e reciproca ripugnanza. Il flusso di coscienza che li attanaglia prende la forma di un convulso monologo interiore, un sordido turpiloquio che si sprigiona dal fondo oscuro della loro mente, e che eccita obliqui, indicibili pensieri. Il silenzio ostinato diviene la cifra della loro esistenza, un nutrimento vivo ed essenziale, il solo nutrimento che condividono ma che li unisce vigorosamente ed instancabilmente.

Tutto cade a pezzi, si frantuma e disintegra sotto il peso del disprezzo e della rabbia ma i due non si separano, il desiderio di libertà e la paura della solitudine si mescolano e confondono in una perturbante prossimità. L’odio li tiene uniti. Fino all’ultimo respiro trovano la forza di torturarsi negandosi ostinatamente l’unica cosa che, forse, avrebbe potuto restituire una profondità autentica alla loro vita: l’amore”.

IL GATTO - immagine campagna Stampa