Pour un oui ou pour un non
Franco Branciaroli, Umberto Orsini e il regista Pier Luigi Pizzi, mostri sacri della scena, si ritrovano dopo anni a lavorare insieme per un testo di Nathalie Serraute. «La Lettura» li ha incontrati: «Noi recitiamo ma la recitazione di questi tempi non va, non ci sono testi ma canovacci. La magia s’è perduta. Però andiamo avanti» Si gioca tutto su un niente: un’intonazione, un’inarcatura della voce, forse una parola non detta o forse una lieve sfumatura di significato. Due amici s’incontrano e su questo niente cominciano a duellare, ad allontanarsi e a ritrovarsi, rinfacciandosi quel che probabilmente neppure loro sanno, precipitando in una vertigine senza senso da cui affiorano vecchi risentimenti e malintesi ma anche un legame affettivo inossidabile, sempre sul filo della rottura definitiva o della ricomposizione.
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Pour un oui ou pour un non

Franco Branciaroli, Umberto Orsini e il regista Pier Luigi Pizzi, mostri sacri della scena, si ritrovano dopo anni a lavorare insieme per un testo di Nathalie Serraute. «La Lettura» li ha incontrati: «Noi recitiamo ma la recitazione di questi tempi non va, non ci sono testi ma canovacci. La magia s’è perduta. Però andiamo avanti»

Si gioca tutto su un niente: un’intonazione, un’inarcatura della voce, forse una parola non detta o forse una lieve sfumatura di significato. Due amici s’incontrano e su questo niente cominciano a duellare, ad allontanarsi e a ritrovarsi, rinfacciandosi quel che probabilmente neppure loro sanno, precipitando in una vertigine senza senso da cui affiorano vecchi risentimenti e malintesi ma anche un legame affettivo inossidabile, sempre sul filo della rottura definitiva o della ricomposizione.
Pour un oui ou pour un non («Per un sì o per un no») è una pièce scritta nel 1981 dall’autrice francese Nathalie Sarraute, già allora scandalosa esponente dello sperimentalismo, la cosiddetta école du regard, negatrice delle forme letterarie tradizionali. È un bell’atto di coraggio riproporre oggi quella che Sartre chiamò «sottoconversazione» sulle possibilità (o meglio sull’impossibilità) del comunicare.
Questo coraggio l’hanno messo in campo tre baldissimi giovani che insieme fanno più di 250 anni dimostrandone in totale un centinaio di meno. Sono due attori e un regista-scenografo di illustre fama: Franco Branciaroli (classe 1947), Umberto Orsini (classe 1934) e Pier Luigi Pizzi (classe 1930). Branciaroli e Orsini non lavoravano insieme dall’Otello diretto da Gabriele Lavia nel 1995. Pizzi e Orsini diversi decenni fa si ritrovarono a collaborare nella celebre Compagnia dei Giovani. E ora eccoli qua, a Ravenna, seduti intorno al tavolo di una sala al piano nobile di Palazzo Bracci, ora Albergo Cappello, camino di marmo alle spalle. È un sabato mattina, tra poco andranno a provare al Teatro Alighieri. Eccoli qua, senza segni visibili del lockdown e delle odissee pandemiche.

POUR UN OUI OU POUR UN NON - Geniali. È come se s’assistesse a un incontro, a un dibattito tra due alte scuole di pensiero del palcoscenico: di fronte ci sono l’Umberto Orsini forgiato da Dostoevskij, Pinter e Strindberg, e il Franco Branciaroli costruito da Testori, Céline e Camus. Con l’arbitrato-regia di Pier Luigi Pizzi, già artefice di idee, spazi e voci nella prosa e nella lirica. È uno degli spettacoli più attesi e sarà tra i più ricordati della stagione.